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Aggiungi un posto a tavola

Quando mi succede di sapere di una persona in difficoltà non riesco a non seguire l’istinto di cercare di aiutarla. E’ un istinto forte, che ho da sempre. Ma negli anni mi sono sempre chiesta quanto questo desiderio fosse in realtà mosso da egoismo. Fare del bene è un atto egoistico? Se ci fa stare meglio direi proprio di si, quindi ogni atto di generosità è dettato dal nostro egoismo. E inoltre, quando si cerca di aiutare qualcuno, il nostro aiuto arriva direttamente alla persona o si perde per strada fra gente senza scrupoli che se ne approfitta? E se arriva, serve veramente a qualcosa?

Anni fa,  sentendomi confusa e frastornata e non sapendo come “ripulire” il mio egoismo affinchè i miei atti fossero fondati e puri, decisi di parlarne con Don Gianni, che apprezzavo enormemente. E così capii che, indipendentemente dal fatto che l’aiuto possa arrivare o meno, l’intenzione è buona ed è questo che conta. Inoltre, se l’azione è dettata dall’egoismo, ma comunque la persona beneficia della stessa, l’azione è positiva comunque. Penso che ognuno di noi, nel nostro piccolo, ogni tanto si prodighi per aiutare gli altri. Solo che dovremmo farlo più spesso e, checchè ne dicesse Don Gianni, ripulire anche le nostre intenzioni.

Per questo voglio raccontarvi la storia di una famiglia qualunque, affinchè possa essere un esempio da emulare, ma non per sentirsi migliori, non perché possa diventare una moda, ma perché “ama il tuo prossimo come te stesso” è una frase che io per prima spesso dimentico.

In un paese qui vicino a noi è accaduto un fatto che ha colpito i suoi abitanti. La vita nella città, e soprattutto una grande città, è molto diversa dalla vita che si svolge in un paesino, dove tutti sanno tutto di tutti e dove c’è meno indifferenza. In una città come Milano, sono pochi i viaggiatori che si stupiscono nel vedere un barbone vivere alla stazione. In un paesino di poche migliaia di abitanti, sapere che un senzatetto dorme alla stazione fa sentire come se la sua storia lo riguardasse, come se fosse il suo vicino di casa.

Così accadde che intorno alle vacanze di Natale la storia di una persona che dormiva alla stazione del paese, girasse per tutto il paese stesso come un tam-tam. Servizi sociali, caritas, croce rossa, in tanti si sono prodigati per aiutare questo clochard la cui storia particolare lo ha indotto a voler tornare nel suo paese d’infanzia seppur senza un soldo. Ecco che lui vive alla stazione, ne parlano come di una persona generosa, colta, intelligente, che di sua sponte ripulisce i marciapiedi della stazione, che non chiede niente a nessuno, ma che riceve pasti caldi e vestiti. Il paese intanto si muove, cerca di trovargli una sistemazione, ma il tam-tam purtroppo non arriva solo alle persone di buon cuore.

Una notte, quattro ragazzini minorenni prendono il clochard a bastonate. La sua storia finisce sui giornali e i servizi sociali lo accompagnano in un posto protetto. A questo punto, la famiglia di cui sopra, che per privacy chiamerò la famiglia Rossi, vuole regalare un sorriso al clochard. La signora Rossi lo cerca, lo trova in una casa di riposo e gli chiede se vuole trascorrere il capodanno con la sua famiglia. Il clochard, che chiameremo Luigi, ringrazia, dice di si. La signora Rossi però gli chiede se non lo disturba il fatto che lei abbia un figlio disabile e la casa piena di animali. Lui è felice. Dice che le persone disabili sono le più pure e che ama molto gli animali.

La sera di capodanno la casa dei signori Rossi è addobbata a festa, gli amici e i parenti sono onorati della presenza di Luigi. Luigi alla casa di riposo aveva già cenato, ma cena nuovamente e nonostante i pochi denti rimastigli assaggia tutto con gioia, beve e brinda insieme a tutti, accarezza gli animali e tutte le bestiole dà un pezzettino di mangiare che toglie dal suo piatto. Luigi si racconta, parla della sua vita, dei suoi sogni, a mezzanotte brinda con loro e poi, stanco, chiede di essere riaccompagnato a casa. “Questo capodanno me lo ricorderò!” Dice, salutando e risalendo nella macchina che lo riporterà nella casa di riposo.

“Signora Rossi, perché lo ha invitato a cena?” “Non volevo nessun grazie, non lo dico neanche in giro, non so se la gente può capire. Se Luigi è stato felice, sono contenta per lui. Chi fa del bene non sente il bisogno di raccontarlo, però Le chiedo di raccontare questa storia perché alla fine io non so quanto fosse felice lui, ma l’aver accettato il nostro calore, l’averci raccontato la storia della sua vita, ecco, per noi questo è stato un regalo. Poter sorridere con un estraneo, raccontarsi senza pudori, mangiare e bere insieme, l’intimità che si è creata, abbandonare la paura degli altri, la diffidenza, il giudizio, non è forse questa la meraviglia dell’amore?”

Giovanna Spantigati

 
 
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